Esiste un antico complesso rurale, esempio prezioso del sistema delle corti che un tempo punteggiavano e connotavano la pianura padana, che si è addormentato nel primo dopoguerra, appena dismessa la propria funzione produttiva agricola e si è risvegliato oggi al centro di uno sterminato polo logistico-industriale.
Si tratta del complesso di fabbriche denominato “Olmo Lungo”, sito in Comune di Mantova.
Il complesso rurale ha origini antiche, fu realizzato a partire dal 1595 dall’allora proprietario Annibale Chieppio Segretario Ducale di Vincenzo I Gonzaga, Duca di Mantova, lo stesso che fece costruire per la propria famiglia anche il noto Palazzo D’Arco in Mantova.
I fabbricati, con l’espansione urbana della città di Mantova, sono stati privati del loro contesto originario e oggi si trovano al centro della zona industriale denominata “Valdaro”, attuale polo logistico che sta assumendo valenza continentale, per la vicinanza con la rete autostradale e il nodo intermodale che si interfaccia con la circolazione ferroviaria e la navigazione fluviale.
Milieu rileva, per il bene, uno stato di conservazione molto preoccupante.
Preoccupa, altrettanto, che gli edifici siano attualmente privi di funzione e che, apparentemente, nessuno cerchi di attualizzarne il ruolo, premessa, questa, per il progressivo peggioramento del degrado e la loro prossima, inevitabile, perdita.
Un po’ di storia
Il complesso storico denominato “Olmo Lungo” è costituito da un palazzo signorile utilizzato un tempo come dimora di campagna, con annessa una chiesetta a singola aula con volta a botte, oratorio e sagrestia; inoltre il complesso immobiliare comprende una torre colombaia, porticati e rustici agricoli ed un’area ex-agricola che li circonda.
Con Decreto Ministeriale del 13.03.1958 il Ministero per i Beni e le Attività Culturali, ai sensi della Legge 1 giugno 1939 n 1089, emetteva il Decreto di vincolo dell’immobile denominato “Palazzo Olmolungo con annesso Oratorio” sito in Mantova località Valdaro. Successivamente con Decreto del 23 novembre 1999 lo stesso Ministero estendeva il Decreto di Vincolo al “Complesso Palazzo Olmolungo con annessi Oratorio, Torre, area di pertinenza e corte rustica”.
La Fondazione d’Arco allora proprietaria del complesso immobiliare in data 28.02.2000 presentò ricorso presso il TAR per la Lombardia sezione di Brescia contro il Ministero, per l’annullamento parziale del Decreto 23/11/99. La Fondazione accettava, pur ritenendoli privi di valore privi di valore storico – artistico, l’estensione del vincolo storico artistico alla Torre Colombaria ed ai fabbricati rurali compresi nel complesso, ma contestava l’estensione del vincolo alla vasta area circostante di mq 32.986“
Con sentenza n 03725/2000 reg. seg. N 00314/2000 il TAR di Brescia accolse il ricorso della proprietà ed annullò parzialmente i vincoli del decreto del 23/11/1999.
La Soprintendenza autorizzò nel 2002 la vendita delle aree rurali, ma nel provvedimento autorizzativo confermò il vincolo monumentale su tutti i fabbricati ed indicò una “destinazione d’uso delle aree agricole legata allo sviluppo di servizi per la ricettività, per l’ospitalità o di tipo sociale”.
La proprietà fondiaria rimase pressoché integra fino a fine anni ’90 quando il fondo venne frazionato e ceduto ad un soggetto privato, la vendita si completò nel 2003 con la cessione del palazzo della corte e della colombaia.
L’inventario dei beni di Annibale Chieppio redatto nel 1623 anno della sua morte descrive tra le altre cose, in modo dettagliato gli edifici che componevano la corte Olmo con le caratteristiche architettoniche e pittoriche, nonché tutti i beni mobili in essi conservati. Dopo la morte di Annibale la corte continuò ad essere abitata dalla famiglia Chieppio fino al 1630, quando Mantova subì il terribile sacco da parte dei Lanzichenecchi, che prima di dare l’assalto alla città si accamparono nei dintorni scegliendo naturalmente le dimore più signorili tra cui gli edifici dell’Olmo Lungo, che furono adibiti a ricovero per gli animali.
Superato il periodo del sacco, i Chieppio tornarono ad abitare la corte fino al 1731 alla morte senza successori di Giuseppe Maria, ultimo discendente di Annibale Chieppio. Da allora la corte passò alla famiglia d’Arco, in quanto Alberto d’Arco aveva sposato Teresa Chieppio sorella di Giuseppe Maria.
La famiglia D’Arco si trasferì a Mantova da Arco di Trento per abitare stabilmente nella residenza ereditata, preferendo il Palazzo cittadino alla corte rurale, che per questo subì anche grandi trasformazioni. I beni patrimoniali di palazzo Olmo lungo furono man mano trasferiti e ancora oggi arricchiscono il patrimonio di arredi in Palazzo D’Arco.
Con i nuovi proprietari, che abitavano saltuariamente corte Olmo, cominciò un lento degrado; dopo la prima guerra mondiale il palazzo venne adibito a magazzino ed abitazioni, per cui furono coperti gli affreschi e costruite tramezze in ogni sala padronale, anche la cappella annessa, dedicata a San Liborio, non rimase esclusa dal decadimento.
Alla morte della contessa Giovanna d’Arco, ultima erede della famiglia, avvenuta nel 1973, la corte Olmo ed i fondi agricoli di pertinenza confluirono nella Fondazione d’Arco, i fabbricati continuarono ad essere abitati da numerose famiglie, che ne mantennero il decoro ed una minima manutenzione. Anche la chiesetta dedicata a San Liborio, sotto la pertinenza della Parrocchia di Frassino, continuò ad essere utilizzata: si celebrava saltuariamente la messa e ogni anno, il 23 luglio, ospitava la celebrazione di San Liborio.
Lo stato di conservazione
L’intero complesso architettonico è oggi in diffuso stato di degrado, ma a dispetto dell’abbandono, sopravvivono parti architettoniche di notevole valore, sia nel Palazzo, sia nella Torre.
Buona parte delle mura di cinta sono state demolite in più punti, il Palazzo è quasi privo di infissi e, qualora presenti, gravemente ammalorati in modo irrecuperabile, una parte del tetto risulta crollata.
Nel corso del 2024 si è registrato il primo crollo di una porzione del tetto della Torre, che precipitando ha compromesso anche il sottostante solaio di interpiano.
Il contesto
Il complesso è accerchiato da capannoni industriali dalle dimensioni inusuali, proprie solo della logistica specializzata, con annessa viabilità funzionale al transito di un elevato numero di autoarticolati. L’urbanizzazione dell’area è in rapida evoluzione e si prospetta la prossima saturazione dei piani di trasformazione e il consolidamento della destinazione industriale vocata alla logistica internazionale.
Cosa fare?
L’Associazione MILIEU sta operando per sensibilizzare la proprietà, la collettività e gli Enti preposti affinché al bene culturale sia rivolta la giusta attenzione, in virtù del suo prezioso e raro valore testimoniale.
Quale può essere la nuova funzione da attribuire ai fabbricati, quale premessa per motivarne il recupero e la valorizzazione in tempi brevi? Centro di rappresentanza, management and exhibition per le imprese multinazionali che si sono insediate nell’intorno?
Oppure cos’altro? Lascia le tue idee compilando il modulo dei commenti qui sotto: